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Passaporto sanitario: soluzione, al momento, impraticabile per la scienza

I viaggi non possono essere subordinato ad un qualcosa che non può essere emesso.

Passaporto sanitario o patente d’immunità. Sono tanti i termini con cui si indica il possibile documento che potrebbe dover essere affiancato al passaporto per potersi muovere liberamente a livello internazionale. Un’opzione che, però, al momento resta utopica, sulla base del fatto che la scienza non è in grado di fornire una certificazione di quel tipo per limiti legati alla conoscenza del Covid-19.

Passaporto sanitario, la scienza non può darlo

Roberto Cauda, infettivologo del Gemelli di Roma, ne ha parlato da ospite della trasmissione Tagadà di La 7. “Anch’io  – ha detto – mi associo al problema semantico delle parole. Noi utilizziamo qui il termine patente, all’estero passaporto”.  In entrambi i casi si fa riferimento ad una certificazione che permetta al viaggiatore di dimostrare mancata positività al coronavirus o comunque una sorta di immunità legata alla presenza di anticorpi.  “In questo momento – ha evidenziato Cauda –  nessuno può dare questo passaporto o questa patente. La comunità scientifica su questo è unanime”.

Passaporto sanitario: i limiti dei test

Roberto Cauda ha spiegato le caratteristiche dei test diagnostici a disposizione della scienza in questo momento. Uno è il tampone classico di cui ormai si si sa tutto. Questo mediamente dopo cinque giorni certifica se qualcuno è venuto a contatto con il virus o si è infettato. Presto potrebbe essere affiancato da un test salivare la cui utilità e attendibilità potrebbe essere la medesima. Entrambi, però, rischiano di avere dei limiti in funzione di una possibile emissione del passaporto sanitario. “Il tampone – ha evidenziato Cauda – fotografa la situazione di quel momento. Uno il giorno dopo potrebbe avere un contatto non indicato dalle negatività di un tampone”.

Diverso il discorso relativo ai test sierologici. “Ci dicono quanto un virus ha circolato in un’area. Se troviamo l’1% è basso, se troviamo il 30% è elevato”. “La Regione Lombardia e la Regione Lazio – ha proseguito –  nei soggetti che hanno anticorpi e che teoricamente dovrebbero avere una sorta di protezione, ammesso e non concessione che siano neutralizzanti, chiede l’esecuzione del tampone”. In sostanza i test relativi alla presunta immunità non sarebbero utili ai fini dell’emissione del passaporto sanitario poiché la loro funzione viene espletata in due modi limitati. Uno è capire se qualcuno è entrato con il contatto con il virus ed eventualmente scegliere di fare il tampone. L’altro è determinare su larga scala la diffusione in precise aree di un virus.